[Books] Detective Hanshichi I misteri della città di Edo di Okamoto Kidō

Titolo originale: The Curious Casebook of Inspector Hanshichi. Detective Stories of old Edo , basato sulla serie Hanshichi torimonochô

Autore: Okamoto Kidō

Prima edizione: selezione di racconti della serie del detective Hanshichi, scritti tra il 1917 e il 1937, a cura di Ian MacDonald per University of Hawai’i Press, 2007

Edizione italiana: Traduzione di Pietro Ferrari (Milano, O barra O edizioni, 2012)

Presentazione dell’editore: Nell’antica città Edo, la Tokyo feudale dello shogunato Tokugawa, il detective Hanshichi indaga su crimini e fatti inconsueti: il fantasma di una donna affogata tormenta una giovane signora; un attore muore sul palcoscenico in una versione troppo realistica di un classico del teatro kabuki; due loschi samurai ordiscono una vendetta; una campana anti-incendi suona inspiegabilmente notte dopo notte; una danzatrice giace morta sul suo tatami, la gola stretta da un serpentello…
Il rude e ironico Hanshichi conduce le sue ricerche con profondo realismo e sottile intuito, sfatando credenze e superstizioni ancora fortemente radicate nelle persone del suo tempo.
Pubblicate per la prima volta in Italia, le avventure di Hanshichi restituiscono un vivido affresco della vita cittadina nel Giappone di fine ‘800: i vicoli, le case da tè e di piacere, i bagni pubblici, le dimore dei samurai e le cerimonie conviviali. L’autore tratteggia un mondo ormai tramontato con un vigore e una misura squisitamente giapponesi.

L’autore: Okamoto Kidō (Tokyo, 1872-1939) considerato il maggior rappresentante del Nuovo Teatro Kabuki, fu il primo drammaturgo a essere ammesso nel 1937 all’Accademia Imperiale delle Arti. La conoscenza della lingua inglese gli permise di leggere //Le avventure di Sherlock Holmes//, da cui trasse lo spunto per la figura del detective Hanshichi grazie al quale è oggi riconosciuto come il fondatore del romanzo poliziesco in Giappone. In virtù del successo ottenuto, i suoi racconti gialli (scritti fra il 1917 e il 1937) sono stati adattati per la radio, la televisione, il cinema e tradotti in inglese e cinese. Tuttora vengono di continuo ristampati.

Il lavoro del detective, si potrebbe dire, è una commedia degli errori.

La narrativa poliziesca giapponese d’inizio Novecento ha in Okamoto Kidō uno dei suoi esponenti di maggior spicco.

L’autore, conosciuto anche per il suo lavoro come corrispondente di guerra, critico teatrale e drammaturgo, è sicuramente in debito nei confronti dell’Occidente e di scrittori come Arthur Conan Doyle, ma ha saputo traslare la lezione del padre di Sherlock Holmes in un contesto del tutto giapponese, dando un nuovo punto di riferimento autoctono ad un genere, che pur avendo illustri predecessori anche nel Paese del Sol Levante, era visto come qualcosa essenzialmente di importazione estera.

I racconti con protagonista il detective Hanshichi, pubblicati a partire dal 1917 su Bungei kurabu (“Club letterario”), sono ambientati intorno alla metà del XIX secolo, quando la città di Tokyo ancora era conosciuta con il nome di Edo.

Si potrebbero definire come dei “racconti nel racconto”: abbiamo infatti un giovane narratore che ha conosciuto Hanshichi ormai anziano e in pensione; incuriosito da quanto sentito su di lui, coglie l’occasione di visite di cortesia, soprattutto per festività e ricorrenze varie, per farsi raccontare dall’investigatore alcuni degli “exploit” nella sua carriera.

Hanshichi era una figura di grande prestigio nel mondo dei custodi della legge. Una rarità nella sua professione, un onesto figlio di Edo senza pretese, su cui nessuno aveva mai mormorato una parola cattiva. Sempre attento a non abusare della sua autorità per tormentare i deboli dietro lo schermo degli incarichi ufficiali, trattava chiunque con la massima cortesia.
(…)
Ci sono molte altre sue avventure che lascerebbero la gente stupefatta e ammirata, perché egli fu uno Scherlock Holmes mai celebrato del periodo Edo.

In questo modo, il risultato è una sorta di torimonochō con i principali casi affrontati del detective.

«Che cos’è un torimonochō, domandate?» cominciò Hanshichi come per un’introduzione. «Bene, dopo avere ascoltato un rapporto da uno di noi investigatori, il capo ispettore o il sostituto magistrato incaricato del caso riferiva le informazioni all’Ufficio del magistrato cittadino, 1 dove un segretario annotava tutto in un libro mastro. Questo era quello che noi chiamavamo un torimonochō, un registro dei casi.(..)»

Questo volume, Detective Hanshichi – I misteri della città di Edo, si muove sulla scia della selezione fatta da Ian MacDonald per The Curious Casebook of Inspector Hanshichi. Detective Stories of old Edo del 2007.

Nello specifico, abbiamo:

– IL FANTASMA DI OFUMI (OFUMI NO TAMASHI)

– LA LANTERNA DI PIETRA (ISHI-DŌRŌ)

– LA MORTE DI KAMPEI (KAMPEI NO SHI)

– LA STANZA SOPRA I BAGNI (YŪYA NO NIKAI)

– LA MALEDIZIONE DELLA DANZATRICE (OBAKE SHISHŌ)

– IL MISTERO DELLA CAMPANA ANTI-INCENDI (HANSHŌ NO KAI)

– LA DAMA DI COMPAGNIA (OKU JOCHŪ)

Dalla sua, Hanshichi non ha solo grandi capacità deduttive, ma anche una profonda conoscenza dell’animo umano che gli permette di capire immediatamente chi ha di fronte e come ottenere informazioni e/o confessioni.

Spesso e volentieri alle indagini di Hanshichi si mescolano elementi soprannaturali: non è raro, infatti, che il detective sia chiamato ad investigare su fatti inspiegabili, per cui c’è chi chiama in causa spiriti di defunti o altre entità.
Pur non pronunciandosi mai apertamente contro queste credenze, il poliziotto finisce sempre per ricondurre ad una mano umana la responsabilità dei delitti.

Mentre si procede alla ricerca della soluzione del caso, il lettore viene nel contempo trasportato all’interno di una vivida rappresentazione della Edo di qualche decennio prima. Non mancano, infatti, digressioni che permettono di ricostruire gli usi, i costumi e più in generale l’atmosfera di quegli anni.

La formazione teatrale di Kidō fa frequentemente capolino, attraverso citazioni e persino come fonte di ispirazione per i criminali.

In questo modo, la ricostruzione storica e i riferimenti culturali e folkloristici rendono Hanshichi torimonochô qualcosa che va oltre la semplice letteratura di genere, divenendo una vera e propria testimonianza di un’epoca.

Davvero ricca ed interessante l’introduzione di Ian MacDonald che apre il volume con un’approfondita contestualizzazione dell’opera e del suo autore. Non mancano nemmeno numerose note esplicative alla fine di ogni capitolo, ad impreziosire editorialmente il libro.

Probabilmente nessuna presentazione dell’opera è più efficace di quella fatta da Giuliana Lusso su I Quaderni asiatici:

È un vero peccato che la letteratura popolare sia scarsamente frequentata dalla critica letteraria, che spesso si limita a criticarne la serialità ed i cliché trascurando gli elementi di interesse; la sua larga diffusione invece consente di aprire scorci sull’immaginario ed i gusti della platea dei lettori che intendeva avvincere ed emozionare. Raramente inserito nelle antologie o ricordato nei manuali di letteratura giapponese, Okamoto (1872-1939) è stato un personaggio rappresentativo del suo tempo: fu educato presso l’ambiente britannico di Tokyo e divenne giornalista lavorando sia come corrispondente di guerra (durante la Guerra sino-giapponese, 1894-5) sia, soprattutto, in qualità di redattore e critico teatrale. Era affascinato dalla vita nel periodo Edo (1603-1868), che conobbe unicamente tramite libri e stampe, e la scelse come ambientazione per numerosi drammi Shin Kabuki e per i suoi racconti. I più celebri hanno per protagonista il detective Hanshichi e sono ben 69, pubblicati fra il 1917 ed il 1937;(…) 
I racconti sono inseriti in una doppia cornice narrativa: Hanshichi, ormai in pensione, racconta i casi più insoliti che gli siano capitati all’autore ancora ragazzo, il quale li ri-narra ai lettori a distanza di anni: questo scartamento temporale molteplice consente a Okamoto di trasportare i lettori nel tardo periodo Edo attraverso una fuga prospettica, e di passare da un piano temporale all’altro giocando con un velo di nostalgia o, più spesso, con il distacco smaliziato dell’ironia. Agli occhi di Hanshichi narratore infatti la facilità con la quale le persone coinvolte nei casi fanno ricorso al soprannaturale sconfina nella credulità; il detective al contrario cerca prove concrete, moventi umani, ricostruisce dinamiche che nulla hanno di fantastico. Okamoto ripropone lo schema del giallo deduttivo classico giunto in Giappone nei primi anni del Novecento: delitto – indagine – soluzione (una struttura che ricostruisce tramite la deduzione logica l’ ordine messo in crisi dal crimine) trasponendolo nella realtà della vecchia capitale, alla quale dedica molte intense immagini. Come nei romanzi di Maigret, è l’ambiente ancor più della storia ad irretire il lettore. La vecchia Edo di Okamoto è una città di legno e carta, nei cui vicoli si consumano passioni e tragedie della gente comune come della nobiltà; con brevi tratti di pennello, fra un sopralluogo ed un interrogatorio, trapelano la luce particolare di un tramonto, lo sgomento per una fioritura di ciliegi già trascorsa, il colore del cielo intravisto fra le gronde delle case. La luce soffusa e gentile in cui è avvolta, nonostante i drammi che vi hanno luogo, lascia il dubbio che si tratti di un rifugio dell’immaginazione dal disagio della modernità in cui autore e lettori era immersi – una modernità alla quale però non avrebbero realisticamente rinunciato. Le postfazioni di Pietro Ferrari in coda ai due volumi approfondiscono il ricorso ad immagini evocative che caratterizza la prosa di Okamoto e le ricche interazioni fra le cornici temporali; l’introduzione di Jan MacDonald, nel primo volume, fornisce interessanti coordinate per inquadrare autore ed opera entro il contesto storico e letterario del tempo.

Giuliana Lusso, dicembre 2012
I Quaderni asiatici, 14/01/2013

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